07 | Africa: Sean Deveraux e Don Jacques Ntamitalizo

SEAN DEVERAUX
Inghilterra 1964 — Somalia 1993
Exallievo e cooperatore salesiano inglese, volontario in Liberia. Di animo sensibile parlava sempre della gente che soffriva e della insensibilità di chi la circondava e la governava. Sean nasce in Inghilterra il 25 novembre 1964 e diventa allievo del Salesian College di Farnborough tra il 1975 e il 1982, quando viveva a Yateley, vicino a Camberley nel Surrey. Nel suo ultimo anno viene eletto tra i rappresentanti della scuola e, dopo essersi laureato a Birmingham con lode in geografia e studi sportivi nel 1985, continua il suo percorso accademico a Exeter.
Inizia quindi ad insegnare presso la Salesian School di Chertsey, Surrey nel 1986. Durante questi anni, Sean diventa un membro molto attivo ed entusiasta dei Salesiani Cooperatori e dell’Associazione degli Exallievi Salesiani, prendendo parte a una vasta gamma di attività con e per i giovani non solo in Inghilterra ma anche all’estero, partecipando a numerosi eventi europei e internazionali. In uno di questi incontra a Roma Papa Giovanni Paolo II.
Nel febbraio 1989, Sean decide di partire per la Liberia come volontario laico, lavorando con la comunità salesiana presso la St. Francis School di Tappita. Quando la scuola chiude nel 1990, a causa della guerra civile, Sean rimane a lavorare con le Nazioni Unite nelle operazioni di soccorso. Dopo numerose avventure, finalmente lascia la Liberia nel 1992 per iniziare a lavorare con l’UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia) in Somalia nel settembre 1992.
Viene ucciso il 2 gennaio 1993, all’età di 28 anni, cinque di questi passati ad aiutare i giovani più poveri dell’Africa.

MISSIONE È CORAGGIO
Sean era consapevole di muoversi in acque pericolose, ma non esita. “Mentre il mio cuore batte, devo fare quello che penso di poter fare, cioè aiutare chi è meno fortunato”.
In Liberia viene picchiato selvaggiamente dai soldati quando affronta uno di loro che tentava di rubare il cibo destinato ai rifugiati. In un’altra occasione viene imprigionato per aver implorato il rilascio di un adolescente che si era precipitato da lui in lacrime. Il giovane era stato suo allievo in una scuola boscaglia dei Salesiani, e in seguito viene arruolato nell’esercito come bambino-soldato.
Nel 1990, la guerra civile costringe la chiusura delle scuole, incluso l’Istituto Don Bosco dove Sean aveva insegnato. Decide così di unirsi al programma per i rifugiati delle Nazioni Unite. La gente veniva massacrata, le normali scorte di cibo erano state interrotte e case e negozi venivano distrutti. Quando i combattimenti raggiungono il culmine, a Sean e ad altri soccorritori viene ordinato di lasciare il paese. L’UNICEF lo invia allora a lavorare in Somalia. Come Salesiano Cooperatore aveva promesso di vivere lo spirito di Don Bosco nella vita quotidiana: Sean accetta subito la sfida!
La Somalia rappresenta una dura prova per Sean e per il mondo. Dalla guerra civile in Liberia si dirige con ottimismo nel fuoco della Somalia con la sua anarchia, la carestia e l’ambiente in cui si vive con le armi. In Somalia, l’UNICEF lo incarica di organizzare i soccorsi per gli affamati, con particolare attenzione ai bambini. Il suo punto d’azione è Chisimaio, la roccaforte di uno dei tanti signori della guerra che avevano fatto sembrare senza speranza la vita di così tante persone. Chisimaio era davvero un punto caldo. Una volta, Sean deve essere evacuato a causa delle condizioni tumultuose.
La notte di sabato 2 gennaio, Sean viene colpito alla schiena da un uomo armato mentre cammina vicino al complesso dell’UNICEF a Kismayu. È il primo straniero ucciso in Somalia dall’arrivo delle forze militari guidate dagli Stati Uniti il mese precedente per assicurare la consegna di cibo agli affamati. Si sono registrate speculazioni sul motivo per cui è stato scelto proprio Sean per la missione in Somalia. Alcuni ricordano che aveva riferito ai media diversi resoconti di testimoni oculari di un grave massacro, il giorno prima dello sbarco dei marines americani.
Alla Messa da Requiem, nella chiesa parrocchiale dove Sean era cresciuto in Inghilterra, il suo grande amico Padre Brian tiene l’omelia, facendo riferimento alla raccomandazione di Don Bosco di rimboccarsi le maniche e di mettersi al lavoro per migliorare le cose. Tutti concordano: Sean Devereux corrisponde proprio alla descrizione di Don Bosco. Tre settimane e mezzo dopo l’omicidio di Sean, le forze straniere completano la ricostruzione del ponte sul fiume Juba a Bur Koy, a nord di Chisimaio. Il ponte ricostruito rende così possibile la consegna di cibo alle famiglie che erano rimaste isolate dall’altra parte. Questo ponte viene formalmente dedicato a Sean Devereux.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Dr. Boutrus-Boutrus Ghali, commenta:
“In circostanze avverse e spesso pericolose, Sean ha mostrato completa dedizione al suo lavoro. I suoi colleghi ammiravano la sua energia, il suo coraggio e la sua compassione. Sean è stato un membro esemplare dello staff e ha dato la sua vita al servizio degli altri, nel vero spirito delle Nazioni Unite. Sean era un vero soldato della pace”.

DON JACQUES NTAMITALIZO
Ruanda 1942 – Burundi 1995
Dal 1980 il Progetto Africa ha contribuito a diffondere il carisma salesiano in questo grande e promettente continente.E dobbiamo ringraziare in modo particolare don Jacques Ntamitalizo.
Nato il 14 settembre 1942 a Rungu, in Ruanda, studia con i Salesiani prima nel suo paese e poi in Zaire. Ordinato sacerdote il 13 agosto 1972, dopo alcuni anni di servizio pastorale prosegue i suoi studi presso l’Università Pontificia salesiana di Roma. Maestro dei novizi e delegato ispettoriale, nel 1978 partecipa al Capitolo Generale dei Salesiani. Memorabile un suo intervento dal forte impatto su tutta l’assemblea: “Con le mie povere parole, vorrei che sentiste un grido di fervido appello che invita, a nome di tanti giovani bisognosi, a sperimentare lo spirito salesiano. La messe è grande e matura ma purtroppo il numero di mani salesiane effettivamente presenti in questo meraviglioso continente è sproporzionato rispetto all’immenso e promettente apostolato da intraprendere. Dai tempi di don Bosco ad oggi molte eminenti personalità della Chiesa, con profonda stima per la Congregazione, non hanno cessato di lanciare questo grido d’appello. Parlando delle missioni in Africa, don Bosco diceva: “questa missione è uno dei miei sogni”. Don Bosco non ha potuto realizzare questo sogno apostolico a causa della sua età. Subito dopo mi sono ricordato di quest’ultima parola che disse, lasciandola come testamento ai suoi figli: “Quello che non ho fatto io lo farete voi”. Vorrei invitare la Congregazione, con grande rispetto e semplicità, a considerare queste parole che mi hanno riempito di gioia e di speranza per un’Africa radiosa con il sostengo delle parole del Rettor Maggiore nella sua Relazione generale sullo stato della Congregazione. L’Africa chiede questo servizio nella speranza che dia buoni frutti”.
Questo appello viene accolto con entusiasmo dai membri del Capitolo Generale e considerato come ispirazione di Dio, segnando una svolta decisiva negli orientamenti pratici che si riferiscono all’impegno salesiano nel continente africano.
Nel 1980 il Rettor maggiore don Egidio Viganò visita i confratelli in Africa e nello stesso anno scrive una lettera sul tema. È l’inizio del famoso “Progetto Africa”!
MISSIONE È SACRIFICIO
Nel 1994 in Ruanda esplose il conflitto etnico tra Hutu e Tutsi che si estese anche al Burundi. Rifiutandosi di lasciare il Burundi, don Jacques rimase da solo nella sua missione, riuscendo così a difenderla dai saccheggi e dalle distruzioni. Devoto di Maria Ausiliatrice, dichiarava:
“Poichè Dio veglia su di me e Maria Ausiliatrice mi protegge visibilmente, devo continuare a dare me stesso per gli altri, nonostante i rischi”.
Grazie al suo coraggio furono salvate diverse vite. Ma nel 1995 venne assassinato. Il suo corpo venne sepolto in una tomba sconosciuta con tutte le altre vittime del genocidio.