L’approfondimento del quaderno Giovani MGS continua, anche al tempo del Coronavirus. Questa settimana ci aiuterà un articolo di Angelo

 

Sono lì che cammino nel mio oratorio, dopo la fine di un’Estate Ragazzi. E’ estate, che bello vedere i sorrisi dei bimbi che raccontano le loro gesta epiche ai genitori. Che bello essere qui. Vedo mia mamma e mio papà che si abbracciano e sorridono, anche loro. Chissà che cosa staranno ricordando.

Camminando a passo lento su questo cemento e lasciandosi cullare dalle scene intorno a me si può riempire l’anima di bellezza. C’è Matteo, un animatore adulto ormai che ai miei occhi è ancora poco più che un ragazzino, che cammina con la mano sulla spalla di un ragazzo. Lui si copre il volto, forse perché sta piangendo, Matteo è lì per lui. C’è Peppe. Peppe è un cooperatore salesiano, che si spende anima e corpo per i ragazzi da prima che io nascessi. Peppe mi fa ridere perché spesso il suo modo di donare amore è donare ciò che resta della grigliata della serata, specie hamburger. Ma vi assicuro che è un amore che i ragazzi accettano volentieri. In questa danza di Amore che si dona ci sono Filippo e Paola. Due ragazzi, due animatori. Sono seduti, vicini, nel cerchio di centrocampo. Mi avvicino. Non è nel manuale del perfetto educatore origliare le conversazioni, ma chissà, magari don Bosco me la perdona, sento che del bello sta prendendo vita. Mi avvicino un altro poco, mentre il cielo stellato si schiude sopra di noi..

<<Questo cielo, così scuro… non ti schiaccia?>>, esordisce Filippo. <<È così buio. Desolato, quasi. È vero di tanto in tanto c’è una stella, una piccola luce che però non fa la differenza in un mare di oscurità. Tu, quando guardi questo cielo, vedi prima il cielo scuro o vedi prima le stelle?>>

<<Vedo entrambe le cose, insieme.>>

<<Io vedo un cielo, scuro. Vedi, noi abbiamo appena finito un mese di Estate Ragazzi e ora siamo qui a parlare, sotto questo cielo. A volte è come se sentissi che non importa quanto bene tu faccia, quanto amore tu possa donare, sarai sempre e solo un’insignificante scintilla in un cielo scuro che sta lì a giudicarti.>>

<<E cosa ti dice?>>

<<Hai presente quel ragazzo che avevo in squadra, no? Che aveva quei problemi in famiglia?>>, Filippo non è ferratissimo nei nomi, tanto per usare un eufemismo.

<<Erik?>>, Paola, invece, un database vivente.

<<Esatto, ecco vedi, Erik.. lui ha tanti problemi in famiglia. È stato qui questo mese, si è divertito, lo abbiamo aiutato. Ha avuto modo di distrarsi un po’. Ma da oggi per lui sarà tutto uguale.>>

Paola si ferma e prende a fissare il cielo per qualche istante, quasi ricercando in esso il filo del suo discorso.

<<Facciamo un gioco?>> dice lei con entusiasmo.

<<Sono abbastanza sicuro che questa domanda sia alla base di un film horror.>>

<<Dai, cretino. Allora, adesso facciamo assoluto silenzio e fissiamo le stelle. Per ogni stella dobbiamo pensare ad una persona che ci ha fatto sorridere o che ci ha dato speranza in un momento difficile, o magari la voglia di ripartire dopo una delusione. Poi condividiamo, d’accordo?>>

<<Ho scelta?>>

<<No.>>

Ridono. Rido anche io.

Filippo indica una tra le tante stelle: <<Un annetto fa feci una brutta interrogazione. Italiano. Avevo studiato ma lì per lì mi prese il panico. Tornato a casa mia sorella, che aveva 10 anni, mi fece una torta con su scritto “per me sei un fratello da dieci”. Faceva schifo.>>

<<Dai, poverina>> risponde Paola lasciandosi sfuggire dagli occhi un sorriso.

<<Beh è la verità. Però mi rese felice.>>

Paola punta una delle stelle più piccole, in lontananza: <<C’è stato un periodo in cui volevo allontanarmi da Dio. Ero confusa e avevo tante cose per la testa. Ci fu un’educatrice più grande che non smise neanche per un secondo di farmi sentire voluta bene. Continuava a ripetermi che Dio era lì, sempre, che mi aspettava>>.

Una piccola lacrima scende sul volto di Filippo. Una, una sola in viaggio alla scoperta di un territorio inesplorato. La nasconde, col favore del buio. Che tipo, Filippo.

<<Fil, a che pensi?>>, di nuovo quell’adorabile finta saccenteria amorevole.

<<Che per quanta luce possiamo portare nel cielo dell’esistenza ci sarà sempre un cielo scuro che dividerà tutte le stelle rendendole un disegno incompiuto.>>

<<Lo sai che le stelle si vedono solo al buio? Possiamo godere della bellezza della luce degli astri solo perché esiste un cielo buio che le accoglie.>>

  1. <<E quindi?>>

<<E quindi non ti sembra di essere un po’ arrogante, Filippo? Da come parli sembra tu abbia la presunzione di essere il Sole, che cancella ogni forma di buio senza lasciare spazio a indugi. E poi dimmi, perché ti piace tanto metterti qui sotto a cieli come questo?>>

Filippo ci pensa un attimo su, effettivamente non ci aveva mai pensato. Ci penso su un po’ anche io. Penso proprio che don Bosco me la perdonerà.

<<Perché è stupendo…>>

<<Esatto Filippo, perché è stupendo essere piccoli! È stupendo poter essere luce ogni giorno, nella nostra quotidianità. E’ stupendo poter essere quella luce che per quanto piccola, per quanto forse debole, rimane unica! E chi lo sa, magari proprio quella stella così piccola stasera ha ispirato un poeta, o un cantante…>>

<<O un marinaio>>, Filippo ha un talento innato, va riconosciuto, per interrompere i discorsi carichi di enfasi.

<< Si, i marinai, l’orientamento, quello che vuoi tu. Le persone che abbiamo nominato prima sono stati astri per noi nel cielo della vita, che a volte può farsi scuro! E così noi a nostra volta siamo chiamati a essere luce, a essere astri. Ma c’è una piccola differenza tra noi e le stelle.>>

<<Che sarebbe?>>

<<Le stelle brillano di luce propria, mentre noi brilliamo della luce riflessa di Gesù, che è come se fosse l’unica grande costellazione, l’unica grande galassia che unisce tutti questi segni di luce, che siamo noi, sparsi per il mondo. E così, se ci pensi, non siamo più solo puntini di luce isolati, ma siamo parte di una grande rete di luce che si alimenta alla stessa fonte…>>

<<…Gesù…>>, sussurra quasi tra sé e sé Filippo. <<Paolè, grazie di essere stata un segno di Gesù. Di essere stata un segno di quella Luce, stasera, per me.>>

<<Lo siamo stati a vicenda. Ma senti un po’ Filippo, questo cielo, così scuro… non ti schiaccia?>>

<<Io vedo solo un cielo illuminato da tante piccole ed uniche stelle.>>

  1. San Paolo, nella lettera ai Filippesi, dice: “Dovete splendere come astri nel mondo.” (Fil 2, 15). La Chiesa, il cui corpo è costituito da ognuno di noi, è chiamata anzitutto a riconoscere di non essere il mondo ma una parte del mondo. Da questa consapevolezza deriva la chiamata ad essere nient’altro che un segno in mezzo al mondo, un segno piccolo, chiaro ed evidente. Proprio come un astro. Ciascuno di noi quindi può e deve essere segno della Luce di Gesù Cristo senza avere l’arroganza di potere da solo sostituire questa luce o di cancellare ciò che luce non è. Esattamente dove siamo, nelle nostre vite, nei nostri dettagli, possiamo essere segno piccolo di un qualcosa di grande, che è l’amore di Dio che ci unisce tutti quanti in questa rete di luce.