di Giuditta Garufi – MGS Sicilia

 

Sfido chiunque ad aver sentito parlare almeno una volta, nelle ultime settimane, dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, “È stata la mano di Dio”. In poco più di due ore, il celebre regista napoletano ci mostra lo spaccato di una famiglia partenopea dagli occhi del figlio minore, Fabietto, nelle sue tradizioni e nella sua quotidianità.
Si tratta di una commedia improvvisamente troncata da una disgrazia, per mezzo della quale assistiamo ad una graduale crescita del protagonista, evidente anche dal cambio di atmosfera nel corso del film: da un clima di spensierata contemplazione e familiarità, si passa repentinamente ad uno stato di smarrimento, in cui prevalgono toni empaticamente malinconici ma, nel contempo, di ricerca del vero senso delle cose.
Tra i tanti dettagli e scelte allegoriche del regista, mi ha colpito molto il fatto che quel tragico incidente che coinvolge due personaggi molto vicini al protagonista segna quasi il vero inizio del film, poiché permette – a noi pubblico ma in primis agli stessi personaggi – di entrare nel nucleo del lungometraggio: in una maniera tristemente amara, Fabietto si rende conto che non può più rimandare il momento in cui capire cosa vuole fare “da grande” e darsi da fare per raggiungere tale obiettivo. E disarmante risulta questa presa di coscienza del protagonista, perché d’altronde è la stessa decisione che prima o poi tocca prendere anche a ciascuno di noi. E vederla rappresentata in maniera tanto brusca quanto prevedibile non fa che aprirci gli occhi sulla realtà. Perché la vita è così. Non ci manda alcun preavviso quando arriva il momento di crescere. Semplicemente ci sbatte in faccia la realtà – più o meno piacevole – e noi non siamo mai completamente pronti ad affrontarla. Eppure, è fondamentale non arrendersi mai di fronte alle difficoltà. Resteremo delusi da certe situazioni, ci accorgeremo di aver commesso degli sbagli nel corso del nostro cammino, incontreremo molto spesso ostacoli, a volte perfino cadremo, ma ciò che conta di più è riuscire ad accettare questi periodi “di prova” e accoglierli come sproni nella realizzazione dei nostri sogni, tenendo sempre ben in mente la battuta (dalle molteplici sfumature) che il personaggio di Luigi Capuana pronuncia a Fabietto in un momento cruciale della proiezione: «Non ti disunire».
«Non ti disunire», perché certe cose non si possono cambiare né cancellare, per cui è importante far fronte alla realtà così come si presenta, senza mai perdere la nostra forza d’animo.
«Non ti disunire», perché sono proprio il nostro vissuto e le nostre esperienze che ci preparano a viverne di nuove.
«Non ti disunire», perché ciascuno di noi è unico e autentico proprio per ciò che siamo, per i sogni che perseguiamo e quei progetti che costruiamo.