di Lorenzo Tosato, rappresentante MGS LE in Consulta Nazionale

Domenica 29 novembre si è svolto online il Forum Giovani MGS Lombardia-Emilia a cui hanno partecipato oltre 200 giovani, alcuni singolarmente dalle loro case altri riuniti ma distanziati dai loro oratori.

Pace! Quanto spesso sentiamo questa parola, quanto spesso ci riempie la bocca, quanto spesso la pretendiamo sempre e dovunque. Ma quanto spesso noi stessi possiamo realmente definirci “operatori di pace?”. Quanto spesso cessiamo di limitarci ad inneggiarla, ad osannarla e decidiamo di metterci in gioco per difenderla? Forse non così spesso come dovremmo, ma non per questo dobbiamo rassegnarci o arrenderci. Le testimonianze del Forum Giovani MGS parlavano proprio di questo. Di chi non si è arreso, di chi di fronte all’indifferenza e al pericolo ha donato la sua vita fino al sacrificio estremo, come ci raccontano le storie di Tiziano Chierotti, giovane alpino ucciso in Afghanistan, e di Don Pino Puglisi, prete ucciso dalla mafia. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare, seppur in via telematica, i genitori di Tiziano e il cappellano Don Marco Galbiati, suo compagno in missione, mentre per Don Puglisi sono venute suor Carolina, sua storica collaboratrice e Rosaria Cascio, sua ex allieva.

“ Per essere una brava persona non è necessario essere un militare, ma per essere un militare bisogna essere una brava persona.” Così parlava Tiziano a Don Marco in una delle ultime volte che si videro. Parole semplici, forse scontate per qualcuno, ma che più di tutte descrivono il carattere di quel ragazzo. Una persona che, come raccontano i genitori, fin da bambino e fin nei piccoli gesti mostrava un innato senso di dovere verso il prossimo, il debole, l’indifeso. Ma tutto ciò non era sufficiente per lui, a Tiziano non bastava parlare di pace mentre altre persone, seppur dall’altra parte del mondo, pativano la guerra e il dolore. Così decise di arruolarsi e di partire, ben consapevole dei rischi, per la missione di pace che gli sarebbe costata la vita. Fare del bene per il prossimo, per questo è partito. Ma non è solo lui a lasciarci qualcosa, una grande prova è stata data dai suoi genitori. Sono passati otto anni e il dolore è ancora visibile sui loro volti mentre parlano di lui, eppure non hanno lasciato che ciò li distruggesse, li chiudesse nella disperazione. Hanno offerto il loro dolore al mondo, con le loro testimonianze lo hanno trasformato in bene, permettendo a Tiziano di continuare la sua opera ancora oggi tramite loro. Ma c’è una cosa ancor più evidente, più forte del dolore, una cosa che nulla sembra smuovere: l’orgoglio. Lo stesso che percepiamo nelle parole di Don Marco quando ci dice “Tiziano muore mentre sta facendo un operazione di solidarietà”. Non c’è rassegnazione nella loro testimonianza, non c’è odio, non c’è rabbia. C’è amore, perdono e un senso d fierezza tipico di chi sa per certo che una persona cara se n’è andata nello stesso modo in cui è vissuta, insieme agli altri e al servizio degli altri

Non meno profonda ed incisiva è la testimonianza di chi ha conosciuto Don Pino Puglisi, il prete simbolo della lotta alla mafia, che parlava di pace in un mondo dominato dall’odio. Lui che tendeva una mano a chi seminava paura, un formatore di coscienza in un tempo di violenza. Tutte cose che hanno spaventato anche alcuni dei mafiosi più sprezzanti, che sono quindi arrivati ad ucciderlo per questo, poiché neanche dopo minacce ed aggressioni quell’uomo, quel semplice uomo, aveva indietreggiato di un passo. Un prete antimafia potremmo definirlo ma Suor Carolina non sarebbe d’accordo. “Non era un prete antimafia, era un prete.” Affermazione che può lasciare spiazzati. Vedere uno dei sacerdoti più famosi e conosciuti, su cui hanno girato film e documentari, messo allo stesso livello di un normalissimo prete. Ma la verità è questa: Don Pino faceva il suo dovere, nulla di più. Ciò che deve realmente stupirci non è quello che ha fatto lui, piuttosto quello che non hanno fatto gli altri. Ad ogni modo Don Puglisi è oggi un punto di riferimento, un simbolo per tutti da cui prendere esempio, ma anche in questo caso Suor Carolina rincara la dose con un altro ammonimento. Quante volte guardando a simili esempi ci viene da dire “ Eh vabbè ma lui era un eroe, cosa potrei mai fare io?” A suo dire è questa la cosa peggiore che possiamo fare, giudicarlo un

eroe non per prenderne esempio ma come scusa per non emularlo. “Gli eroi li creiamo noi quando ci serve una scusa per non impegnarci.” Davanti a simili parole qualcuno potrebbe pensare che Suor Carolina stia sminuendo Don Puglisi, ma in realtà gli unici che dovrebbero sentirsi sminuiti da tali affermazioni siamo noi quando ci rifiutiamo di essere come lui, di metterci all’opera per fare la differenza, restando in quella che lei chiama “striscia grigia”. Quella che non è né bianca né nera, né bene né male, la zona degli indifferenti, dei mediocri e di chi non si schiera. “Don Pino era come me, come noi, piangeva come noi… e se ce l’ha fatta lui possiamo farcela anche noi”. A dare man forte a queste opinioni si è poi aggiunta Rosaria, raccontandoci i ricordi che aveva condiviso con lui. Le gite in montagna, le scene goliardiche, le messe all’aperto, proprio come un qualsiasi ragazzo dell’oratorio racconterebbe le sue esperienze estive. Racconti sottotono rispetto a quanto sentito in precedenza? No. Perché è questo il vero ricordo che tutti dovremmo avere di Don Puglisi. Quello di un prete che ha vissuto per i ragazzi, conquistandoli con la sua disponibilità, la sua simpatia, la sua fede: caratteristiche di una persona normale non di un supereroe!

E’ stato senz’altro un Forum diverso, qualcuno lo definirebbe meno bello poichè non abbiamo potuto incontrarci e confrontarci ma il messaggio che ha portato va oltre gli schermi che abbiamo guardato, specie di questi tempi. I tempi della difficoltà e della paura, dove c’è bisogno di tutti ma al contempo è sempre più forte la tentazione di chiamare “eroe” chi sta combattendo per poi rimanere nella nostra striscia grigia. Tiziano e Don Pino, il soldato e il sacerdote, che qualcuno oserebbe chiamare il “guerrafondaio imperialista” e il “bigotto bugiardo”, ci mostrano una strada diversa. La strada di uomini normali che fanno la differenza, nella loro vita e oltre, che diventano operatori di pace in tutti i sensi per ricordare a tutti noi che la pace purtroppo non è un diritto ma un dono. Ricordiamoci dunque di chi si è sacrificato per farci questo dono e sul loro esempio scendiamo in campo per donarlo a nostra volta.